SUPERARE LA NOIA COME VIA DI RISVEGLIO
L’essere umano non nasce predisposto a “concentrarsi”: fissarsi su un punto, su una situazione, produce in lui la monotonia. E questo vale per ogni ambito: dal giocare, al lavoro, al rapporto di coppia, al matrimonio.
Tutto primo poi, nel suo ripetersi nella medesima forma, crea l’assuefazione, l’indifferenza, la noia.
Perché egli è un ricercatore, un investigatore cosmico: strutturato in modo che in lui si originino in lui continui stimoli, bisogni, brame e passioni, che lo incitino a sperimentare, a ricercare sempre cose nuove nella vita. La sua natura gli impedisce di essere continuativo, stabile, permanente, duraturo e costante.
Solo tramite un educazione esoterica, che si incentri sulla pratica della concentrazione del pensiero, può imparare a contrapporre alla naturale noia, un interesse attivo, che viene generato dalla sua interiore volontà. Concentrarsi è dedicarsi volitivamente ad un tema, un oggetto: che è al contempo un educazione all’amore.
Amare è avere interesse ai massimi vertici, ma per tutto, non solo per una cosa: stranamente si può dire che nell’uomo vi sia già questa la sua tendenza: desiderare ogni cosa. La differenza è che l’uomo non ama disinteressatamente, desidera con interesse. La concentrazione insegna ad amare la singola cosa, per diventare capaci di amare ogni cosa.
Il problema è dunque questo: l’umano si annoia. E questa noia produce in lui l‘attitudine a vivere nella continua pratica del rinnovare il suo mondo esteriore e interiore apportandovi stimoli nuovi o rinnovati.
Se io imparo ogni giorno a concentrarmi su un oggetto, mi sottopongo ad un attività che mi educa a godere di ciò che vive nella noia. Scopro in essa un altro principio. Al principio concentrarsi è difficile, perché ci si trova ad operare contro natura. Essa non vuole cedere alla monoidea, tende al pluralismo. Ma con il tempo si arriva ad un superamento della consueta noia, facendo leva su essa stessa. Si produce uno “scatto” della coscienza ed ecco che ogni monotonia sparisce, e si palesa uno “stato” in cui la calma e la serenità divengono la base dell’esistenza. Ci si accorge che oltre il muro della noia, dimora la calma universale, la pace. Come se fosse stato disposto che la monotonia dovesse fungere da “guardiana” sulla soglia dell’ armonia interiore.
Di fatto, superare la noia significa provocare un “corto circuito” al sistema nervoso: superare l’ordinaria capacità di pensare poggiante sul cervello.
Infatti se ci si esercita con il tempo a concentrarsi su un tema, per via naturale accade che la coscienza vada ad ampliarsi e smette di essere sottomessa al sistema nervoso. Esiste senza poggiare sulla materia: ma si estrinseca tramite un altro veicolo, il corpo eterico, il cervello eterico.
Vi è quindi un sistema per divenire più stabili, più coerenti con le proprie scelte e continuativi: abituarsi a concentrarsi in se stessi.
Ad es. una coppia, che voglia essere in pace non deve promettersi fedeltà: ma imparare a concentrarsi in se stessi. Questa attività conduce spontaneamente ad un onestà interiore che sa discernere ciò che è vano da ciò che non lo è. Conduce ad eliminare la noia, a superarla.
Piano piano si instaura nell’anima la tendenza ad essenzializzarsi, a godere della semplicità: che significa eliminare la noia. Infatti imparare a godere dell’essenza delle cose, significa smettere di essere complicati, di desiderare l’apparenza. Cessa così la necessità della noia di stimolarci verso un soddisfacimento che il più delle volte è solo fittizio, inutile.
Apprezzare l’essenza di una cosa significa unirsi a lei nello spirito: significa accorgersi che ogni cosa e persona sono parte di un unico spirito, nel quale viviamo ininterrottamente, senza esserne consapevoli.
Concentrarsi su una cosa è un metodo,un pretesto, per arrivare ad accedere al mondo spirituale, a godere della comunione con il divino, la quale non conosce noia, ma solo assoluto appagamento.
Il pensare “rafforzato”: osservazione del pensare
Occorre porsi attivamente di fronte al pensare cercando di ritrarsi dall’atto stesso del “fare pensieri”. Spesso in antroposofia, si parla di “pensare rafforzato”. Tale attività non significa “meditare”, ma arrivare a praticare un osservazione dell’attività di pensiero, cessando ogni elucubrazione razionale.
Si tratta di smettere di identificarsi con l’ordinaria capacità di formare immagini e concetti, per volgersi ad usarla come occasione di potenziamento della forza animica interiore. Si tratta di “sollevare” il pensare ad un livello superiore. Non si tratta di meditare, svuotando la coscienza: questa è una fase che deve succedere all’atto dell’osservazione del pensiero.
Il punto di partenza di ogni indagine esoterica moderna, per avere qualità di scientificità deve venire sempre introdotta da un osservazione compiuta dal ricercatore sul proprio pensare: che si può anche qualificare come il raggiungimento del “l’esperienza interiore della reale natura del pensare”. Essa consente l’elevazione della coscienza dalla fase “ordinaria” a quella “veggente”.
Questo tipo di pratica è ben distante da un “rilassarsi”, o un “riposarsi”: si tratta invece di impegnarsi a generare uno “sforzo” enorme dell’anima a mezzo di un eccezionale e sorprendente atto di concentrazione della capacità di pensiero. Deve essere impiegata una smisurata forza animica per analizzare minuziosamente e in modo tassativamente conseguente, la concatenazione di pensieri, la sequenza di immagini costituenti un determinato tema o oggetto prescelto. Quest’ultimo, non è il fine della concentrazione, ma il mezzo.
Ovvero: non ci si concentra per “conoscere l’oggetto” ma per suscitare a suo tramite una spropositata forza animica interiore. L’ossessivo lavoro di sforzo, nel seguire univocamente la costruzione dei pensieri durante concentrazione attiva il pensare stesso, lo riscalda, lo sviluppa, sollevandolo dalla sua momentanea natura riflessa. E’ un espediente, scoperto da R. Steiner, per “commutare” la coscienza riflessa in quella spirituale.
In altri termini si può dire che la concentrazione altro non è che un introduzione scientifica alla reale esperienza spirituale: come la “vestizione” dello scienziato dello spirito, che indossa prima il camice e i guanti, prima di operare sul tavolo del laboratorio.
Tiziano Bellucci
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